Il Te Deum di fine 2017 del Cardinale Giuseppe Betori

Denatalità, povertà, terrorismo, la morte improvvisa della piccola Sofia, sono alcuni dei temi affrontati dall’Arcivescovo di Firenze, Kadinal Giuseppe Betori, la sera del 31 Desanm 2017 in Duomo nell’omelia prima del Te Deum di ringraziamento per la fine dell’anno civile.

Questo il testo integrale dell’omelia del Cardinale Betori:

Al termine dell’anno civile siamo qui di fronte al Signore, riconoscendo che tutto da lui proviene e tutto è in cammino verso di lui. È lui l’origine ultima dei beni che ci hanno arricchito in questo anno; il suo aiuto ci ha permesso di affrontare il male che ostacola le nostre vicende personali e la storia dell’umanità, certi però che il male, nella sua radice, è già stato sconfitto dall’incarnazione del Figlio di Dio e dalla sua Pasqua, come si rivelerà alla fine dei tempi. Al mistero dell’ingresso di Cristo nel tempo rinviano le parole dell’apostolo Paolo proclamate come lettura breve; parole in cui il tempo e il suo scorrere sono stati messi a confronto con il farsi uomo del Figlio di Dio, evento che viene compreso come il compimento del tempo, il vertice della storia umana, la sua pienezza. Da questo evento – in cui la volontà del Padre incontra l’umile offerta di sé di una donna, Mari, e il Creatore, per mezzo del suo grembo, si fa creatura e si lega all’umanità nella concretezza dell’appartenenza al popolo d’Israele, il popolo della Legge – da questo evento scaturisce il dono della liberazione dell’umanità dal dominio del male, per rimedio del quale era stato dato al popolo della prima alleanza il giogo della Legge, ora sostituito dalla libertà dei figli di Dio, in cui il Figlio unigenito ci introduce.

Questo orizzonte di fede ci guida nel rileggere gli eventi che hanno segnato l’anno che oggi si chiude, per un discernimento, che ci renda consapevoli delle nostre responsabilità e più attenti e fedeli nel cooperare al disegno di Dio sulla storia. Con questa fiduciosa e grata coscienza celebriamo questa sera la lode di Dio e ci prepariamo ad accogliere la sua volontà per il tempo futuro che egli vorrà ancora donarci.

In questa luce vogliamo vedere l’anno che oggi si conclude, segnato ancora ahimè dal ripetersi di atti di terrorismo che, addirittura abusando del nome di Dio in modo blasfemo, seminano morte e angoscia in tutto il mondo, ancora in questi giorni tra i nostri fratelli cristiani copti in Egitto. Un tributo di sangue, quello pagato dai cristiani – tra loro ben 23 missionari –, che deve richiamare le nostre coscienze a quanto prezioso sia il bene della libertà religiosa e quanta coerenza e dedizione ci chieda la nostra fede in Cristo, anche nel contesto della nostra situazione sociale dove non è messa in pericolo la vita ma si rischia la sottomissione a modelli di pensiero che avversano alla radice il Vangelo. C’è il rischio per noi di scivolare verso la miope rinuncia a riconoscere le nostre radici e quindi di fatto a un disorientamento che non riguarda soltanto la fede, ma anche la cultura che, proprio oggi che è chiamata a incontrare mondi diversi e a farsi accogliente, necessita di ancor più chiara identità. È un richiamo, questo, che illumina anche il significato di accoglienza e di dialogo che la nostra Chiesa fiorentina ha inteso fare, su richiesta di chi governa la vita civile nel territorio, di mettere a disposizione della comunità islamica un terreno che potrà essere utilizzato per costruire un luogo di culto. Un gesto di dialogo con cui si è voluto ribadire quanto importante per noi, come cittadini e come credenti, sia il valore della libertà religiosa.

Su questa strada di una identità accogliente ci è maestro il nostro Papa Francesco, che invita a guardare con gli occhi della fede le vicende del mondo, per scorgervi i segni della presenza di Dio, e ad accostarci agli altri con il cuore misericordioso di Dio nostro Padre, che tutti vuole abbracciare nel suo amore. Lo ha ripetuto, con parole incisive, nell’omelia della notte del Natale, parole che voglio con voi riascoltare: «Nel Bambino di Betlemme, Dio ci viene incontro per renderci protagonisti della vita che ci circonda. Si offre perché lo prendiamo tra le braccia, perché lo solleviamo e lo abbracciamo. Perché in Lui non abbiamo paura di prendere tra le braccia, sollevare e abbracciare l’assetato, il forestiero, l’ignudo, il malato, il carcerato (cfr Mt 25,35-36). “Non abbiate paura! Aprite, sou kontrè a, spalancate le porte a Cristo”. In questo Bambino, Dio ci invita a farci carico della speranza. Ci invita a farci sentinelle per molti che hanno ceduto sotto il peso della desolazione che nasce dal trovare tante porte chiuse. In questo Bambino, Dio ci rende protagonisti della sua ospitalità».

Il riferimento ai poveri ci ricorda il persistente dramma di tanti nella nostra società, dei molti, troppi che restano ai margini di una vita dignitosa e chiedono cibo, vestiti, lakay, cure, relazioni umane. Si tratta di gente del nostro popolo come pure di uomini, donne e bambini che giungono da paesi lontani, con culture e religioni diverse, in fuga dalle guerre e dalla fame, da condizioni di vita disumane. Per costoro spesso la fuga si traduce concretamente in violenze, sfruttamento, messa in pericolo della stessa vita nelle regioni desertiche e sul mare. Per questo occorre incrementare i trasferimenti mediante corridoi umanitari, come quello che ha permesso che giungessero tra noi in sicurezza tre donne e tre bambini, che saranno ora accolti in una nostra parrocchia. Gli uni e gli altri sono nostri fratelli e attendono il nostro abbraccio e il nostro sostegno, senza distinzioni. Per queste schiere di uomini e donne in povertà il Papa da quest’anno ci ha chiamati a celebrare la Giornata Mondiale dei Poveri, per un risveglio delle nostre coscienze, per fare della lotta alla povertà, qui e nei Paesi poveri del mondo, una vera priorità delle politiche sociali e un campo di esercizio personale e comunitario della carità.

A questo mondo di emarginati appartengono anche quanti vivono nelle carceri, dove si fa sempre più urgente l’esigenza di trasformare la pena in itinerario di recupero e redenzione. Rinnovo il mio appello a chi ha responsabilità in questo ambito sociale per rimuovere le condizioni disumane dei luoghi di detenzione e per offrire a ogni uomo che ha commesso reati itinerari di riscatto e di reinserimento sociale.

I problemi dei poveri, dei rifugiati e dei carcerati ci hanno introdotti già nelle vicende del nostro Paese, dove il quadro politico con le sue forti lacerazioni prospetta di fronte a noi un percorso non facile anche nei prossimi mesi. Di qui l’appello a far prevalere le ragioni del bene comune, come pure l’attenzione da riservare alle possibili conseguenze di decisioni che non sembrano sufficientemente salvaguardare i valori supremi della dignità della persona, della vita umana e della famiglia. Lo sguardo alla condizione del Paese non può trascurare la grave situazione di crescente denatalità che ci accompagna ormai da diversi anni, ma che non sembra trovare eco sufficiente tra il sentire della gente, la consapevolezza del mondo della cultura e della comunicazione, la responsabilità di chi ha compiti legislativi e di governo. Eppure ormai siamo agli ultimi posti nel mondo per il numero di nascite. Sembra che ci sia un’assuefazione alla scomparsa di un popolo o, peggio, all’inconsapevolezza della china su cui stiamo scivolando verso la nostra fine. Mancano politiche sociali adeguate, manca una decisa reazione all’impero di una cultura dell’individualismo e dell’effimero godimento, che annullano il pensare in termini di futuro e di progetto.

Venendo, nan dènye, alla nostra città e al suo territorio, mi piace condividere l’auspicio che il nostro Sindaco ha voluto rivolgere perché nel nuovo anno crescano fiducia e generosità. Sono prospettive che si ritrovano pure nelle parole del Papa che ho prima citato. Di speranza e di condivisione abbiamo davvero bisogno, per non isterilirci nelle divisioni e nella chiusura nel privato. La nostra comunità cristiana è pronta a porre a servizio di tutti le risorse di speranza e di carità che le vengono dalla fede, perché nella fede la speranza sfugge al puro auspicio, in quanto si fonda sulla certezza dell’essere amati da Dio, e la carità va oltre la semplice solidarietà umana in quanto si conforma al dono di sé con cui Cristo ha amato noi.

Questa speranza e un cuore colmo di comprensione e benevolenza ci ha testimoniato la moglie dell’uomo spagnolo vittima dell’incidente accaduto qualche tempo fa in Santa Croce, in una lettera intessuta di parole di fede e di fiducioso sguardo verso il futuro. A quell’uomo e alla sua famiglia – il cui dolore possiamo immaginare ancor più profondo in questi giorni – rinnoviamo la nostra vicinanza e per loro ci sia sempre il ricordo nella nostra preghiera. La stessa fede ritrovo nelle parole con cui i genitori di Sofia ci hanno annunciato oggi la morte della loro bimba, il cui volo è stato spezzato da una di quelle malattie rare e crudeli, contro cui non è bastato l’impegno intelligente e generoso dei nostri bravi medici. Un mistero, quello del dolore degli innocenti che ci richiama alla nostra fragilità di creature e però avvicina a noi la sofferenza innocente di Gesù. Preghiamo per Sofia, per i suoi genitori e familiari, per tutti i bambini che soffrono e i loro cari, per quanti operano nella nostra sanità.

Queste risorse di fede si alimentano in una convinta comunione ecclesiale. È quella che siamo invitati a far crescere nel Cammino sinodale che abbiamo iniziato su invito di Papa Francesco, che ringraziamo ancora per la particolare predilezione che mostra verso la nostra Chiesa e che ci ha mostrato in questo anno particolarmente con la sua visita a Barbiana, alla tomba di don Lorenzo Milani, per un gesto di riconoscimento del valore della sua testimonianza ecclesiale e sociale. In risposta a questa attenzione del Papa verso di noi, sia generoso il nostro coinvolgimento nel Cammino sinodale che trae ispirazione dalla sua esortazione apostolica Levanjil kè kontan. Da quel suo testo programmatico vogliamo ricavare le tracce di un impegno di Chiesa che ci permetta di essere testimoni coerenti e trasparenti del Vangelo di Gesù in questo nostro tempo. Sia questo il nostro buon anno.

Riprese video e foto di Franco Mariani.

Franco Mariani
Soti nan nimewo a 186 – Anno V del 10/1/2018

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