Pubblicate le inedite lettere di La Pira a Papa Paolo VI

libro la pira paolo viE’ stato presentato il 26 aprile, nell’Aula magna “Cardinale Giovanni Benelli” della Facoltà Teologica dell’Italia Centrale, in via Cosimo il Vecchio 26, a Firenze, il libro “Abbattere i muri, costruire ponti” – Lettere a Paolo VI” , ultimo grande evento in questa sede, visto che la Facoltà da settembre si sarà trasferita nella nuova sede nel rione di San Frediano.

Il volume è stato presentato dal Preside della Facoltà, don Stefano Tarocchi, da Mario Primicerio, Presidente della Fondazione La Pira, dal Prof. Augusto D’Angelo, curatore del volume e docente di Storia contemporanea presso l’Università Roma 3, da don Gianni Cioli, docente presso la Facoltà Teologica, e da Mons. Romano Rossi, Vescovo di Civita Castellana.

Il testo, a cura di Andrea Riccardi e Augusto D’Angelo per le Edizioni San Paolo, raccoglie molte delle lettere di Giorgio La Pira a Paolo VI, scritte come se fossero una sorta di “diario di bordo” del Professore, visto che a volte scriveva anche più lettere al giorno futuro Beato Montini.

Le lettere . una selezione di 223 documenti inediti sugli oltre 1100 testi, tra lettere e telegrammi – manifestano le visioni e i sentimenti degli ultimi 14 anni del Sindaco, Santo per la gente, ma non ancora per la Chiesa.

L’incontro di La Pira con Giovanni Battista Montini, Papa e Beato, risale ai primi anni Trenta del secolo scorso, quando il giovane Monsignor Montini è Assistente Ecclesiastico della Federazione degli Universitari Cattolici Italiani (FUCI) e lavora presso la Segreteria di Stato di cui poi diverrà, nel 1937 Sostituto per gli Affari Ordinari sotto il Segretario di Stato Cardinale Eugenio Pacelli, poi Papa Pio XII.

Mons. Montini accoglierà in casa sua La Pira quando sarà costretto ad abbandonare Firenze in quanto ricercato dalla polizia fascista.

Un rapporto di amicizia, da sempre e soprattutto dai toni confidenziali: “Ammiro il tuo ottimismo – gli scriveva Montini il 28 marzo 1957 – che mi sembra davvero un atto di fede nella virtù intrinseca del cristianesimo di guadagnare a sé uomini, che sembrano tanto poco disposti a comprenderlo e ad accoglierlo”.

E soprattutto schietto, come quando, da Cardinale, Montini, avrebbe manifestato come la sua sensibilità ecclesiastica e quella carismatica lapiriana non coincidessero, come disse il 21 marzo 1961: “alcune volte il suo modo d’interpretare i fenomeni del nostro tempo in senso teologico e teleologico mi sembra troppo ottimista”.

Dal canto suo La Pira, dopo l’elezione al Soglio di Pietro dell’amico Montini, il 21 giugno 1968 gli scriverà: “Peccato, Beatissimo Padre, (e permettete che filialmente io lo dica) che non ci si possa mai vedere e non si possa mai parlare (a voce) di tante cose, tanto essenziali nella storia presente della Chiesa e del mondo”.

Malgrado la sua ammirazione per La Pira, da Papa Montini non rispose mai direttamente alle sue lettere, ma solo tramite i suoi collaboratori; tuttavia qualche incontro, segreto – non diffuso dal bollettino ufficiale dell’agenda del Pontefice dalla Casa Pontificia e pubblicato quotidianamente dall’Osservatore Romano – c’è stato, come si evince da una lettera del luglio 1971: “Eppure è necessario che io Vi veda, a Castelgandolfo (come lo scorso anno); ci si può vedere: nessuno saprà di questa mia visita”.

Solo poco prima di morire La Pira ricevette una lettera di Papa Montini, scritta a mano, dove dà del tu all’amico: “Ricevo le Tue righe… Vi leggo le condizioni non felici della Tua salute fisica, e ne soffro con Te e con quanti Ti vogliono bene; e vi leggo insieme il Tuo ‘desiderio di andare incontro fino in fondo alla volontà del Signore’ doloroso e mirabile dramma della Croce… Il Signore ti dia sollievo in codesta infermità, e Ti dia grazia e sapienza di riflettere inoltre cotesta passione rigeneratrice nelle vicende ‘in cui si trovano migliaia di giovani’. Bene, carissimo Amico. Il sempre compianto Mons. Rampolla Ti è certamente vicino. Il Signore consoli e dia merito e virtù effusiva alla Tua pazienza, e nel Suo nome Ti saluto e Ti benedico”.

Si chiuse così il loro fraterno rapporto terreno, poi continuato nella Gerusalemme celeste.

Franco Mariani
Dal numero 109 – Anno III del 27/5/2016

Di seguito riportiamo il testo integrale di alcune delle lettere di La Pira a Papa Paolo VI.

Beatissimo Padre,

permettete che io Vi mandi questi due discorsi fatti per U Thant: essi indicano ancora una volta quale è la “tesi fiorentina” circa la presente epoca storica del mondo! Una tesi che ci permettemmo di esporre – sotto forma di “messaggio alle nazioni” – nell’annuale messaggio fiorentino di Epifania (ricorda? Questi messaggi sono radicati nel primo messaggio del 1952: quella radice porta un nome: Mons. Montini).

Ebbene, Beatissimo padre: noi a Firenze siamo profondamente persuasi – attraverso la preghiera, la meditazione e la sperimentazione: “provando e riprovando”! – che la Provvidenza del Signore ha fatto entrare davvero la storia della Chiesa e dei popoli in una “stagione di primavera” (Pio XII, Giovanni XXIII: Fatima) che prepara una stagione di estate storica quale mai il genere umano ha sperimentato (Pio XII): e siamo persuasi che il segno inequivocabile di questa stagione – ed insieme lo strumento costitutivo, in certo senso, di essa – è dato appunto dal Concilio Ecumenico, in quanto strumento dell’unità della Chiesa e della pacificazione, unificazione, ed illuminazione del mondo (…unum sint ut cognoscat mundus).

La preghiera del Signore (ut unum sint) seminata nella terra dei popoli “vuole realizzarsi”: la fase (storica) della sua trascrizione nella realtà storica dei popoli è venuta: il Signore vuole edificare nella pace e nella grazia – nella unità e nella bellezza! – i muri e la città di Gerusalemme (cioè il mondo intiero illuminato dalla Chiesa).

Ci illudiamo? Sogniamo?

Beatissimo Padre, parlano i fatti: questi fatti davvero imprevedibili e miracolosi del nostro tempo storico: i fatti e le persone delle nazioni (Kennedy, Krusciov; U Thant; aggiungo anche Fanfani ed altri). E parlano anche questi piccoli ma qualificati fatti di Firenze: fatti che hanno risonanza singolare nel mondo (specie nei paesi del terzo mondo e nei paesi “socialisti”): fatti carichi di speranza, radicati nella preghiera (500 monasteri di clausura italiani e 2500 monasteri di clausura delle altre parti del mondo), e per la prima volta (1952) piantati da Mons. Montini, oggi Paolo VI.

Beatissimo Padre, sogniamo? Ci illudiamo? Facciamo opera di presuntuosi? Non so cosa rispondere, Beatissimo Padre: so solo che noi ci sentiamo radicalmente nulla (nihil! servi inutiles sumus); che il Signore può sul nulla operare come crede, fare quello che vuole; e so solo che le cose, che i fatti, da 10 anni, si svolgono come un teorema di geometria: e meditando su questi fatti e su questo loro geometrico svolgimento, noi restiamo carichi di stupore e ricchi di lode! Signore benedetto e dolce Madre Maria, quale meraviglia!

E questa Firenze – città di Maria! – quale luce e quale attrazione a servizio della Chiesa (dedi te in lucem gentium) ed a servizio di tutte le genti! Del resto, il Cardinal Montini, lo disse: – Firenze, è la tua ora! (1960).

Beatissimo Padre, ecco i pensieri di stamattina: sono sempre gli stessi. Ricorda quando La Pira veniva a visitare – quasi ogni mattina – Mons. Montini? Ascoltava la S. Messa e poi faceva colazione con lei? E si parlava: di che cosa? Della celeste Gerusalemme.

Ecco, siamo sempre in quell’orbita: solo che quella meditazione è scesa nella realtà storica, temporale: è diventata chiave di interpretazione della storia presente della Chiesa e del mondo: è diventata speranza e forza di unità e di pace per i popoli: spes contra spem!

Ed i fatti – dieci anni dopo: 1953-1963 – mostrano quella speranza in fioritura, quella unità in costruzione, quella bellezza in irradiazione!

Beatissimo Padre, Firenze è oggi un “capitale” a servizio della Chiesa: una forza cristiana attrattiva (sul terzo mondo e sui paesi !socialisti”) a servizio della Chiesa: ecco, io La offro a Lei: la prenda; la benedica; è un vero punto di forza e di grazia per i popoli!

E si tratta di una ricchezza che Lei ha creato quando la ha radicata nel suolo di Firenze (1952: e già 1951: Pater vero rem tacitus considerabat): che Lei ha benedetto ed irrigato quando ha mandato a Firenze i rappresentanti ufficiali della Sede Apostolica ai Convegni della Pace.

E’ un albero prezioso, questo: albero radicato nel suolo della Chiesa: albero di immensa civiltà cristiana ed umana!

Lo prenda: è Suo!

Beatissimo Padre, il signore ha tessuto Lui – attraverso le delicate mani di Maria! – questo tessuto di grazia e di speranza e di pace!

Lo prenda, è Suo: forse questo tessuto di grazia, di speranza, di bellezza, di preghiera, di pace, è destinato a coprire di altra gioia e di altra pace i popoli di tanta parte del mondo!

Tutto ciò non è a caso: non è opera di Tizio o di Caio (di La Pira!): è – mi pare – opera del Padre Celeste che ama le nazioni di tutta la terra e che vuole effondere su di esse un fiume di pace (Pio XII!) ed un fiume di giustizia, ed un fiume infinito di grazia!

Comunque, una cosa è certa: tutta questa germinazione ha una sola radice: e questa radice ha un piantatore ed un irrigatore: Montini, oggi Paolo VI.

Un caso? No, un disegno amorevole dello Spirito Santo che soffia sulla terra per aprirla alla fioritura, come a primavera!

Ecco, Beatissimo Padre, ciò che ho desiderato dirvi stamattina.

Mi sono svegliato presto: sono stato alle ore 6 alla SS. Annunziata per la S.Messa; sono tornato a casa; ho scritto il discorsino (il 2°) per U Thant; e poi ho scritto questa lettera: questa lettera che è una continuazione delle conversazioni di casa Montini, con Mons. Montini, dopo la S. Messa (durante la colazione): conversazione che avevano per oggetto, ieri, la Gerusalemme celeste e che hanno per oggetto, oggi, la trascrizione terrestre della Gerusalemme celeste!

Beatissimo Padre, perdonatemi e beneditemi.

In X/to:

La Pira

11/7/63
Vigilia di S. Giovanni Gualberto!

Accludo i tre discorsi per U Thant e “Il messaggio alle Nazioni” di Epifania.

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Beatissimo Padre,

per fare la “fotografia” di questo viaggio di Pechino ed Hanoi, dovrei scrivere lungamente: si tratta, infatti, di un viaggio costruito attraverso mille eventi che hanno ciascuno un significato particolare e che sono – nel piano della Provvidenza – altrettante pietre di un unico edificio: penso di scrivere integralmente questa relazione: penso di ricostruire per iscritto il disegno – di preghiera, di meditazione e di azione – che partendo da Firenze (SS. Annunziata) ed attraversando Roma (S. Pietro; Pio XII, Giovanni XXIII; S. Paolo) Varsavia (Cestokowa, Carmelo di Varsavia e Auschwitz) Mosca (S. Luigi dei Francesi, Zagorski) e Pechino (Chiesa dell’Immacolata), si è concluso ad Hanoi (alla cattedrale ed al Palazzo della Presidenza).

Forse, Beatissimo Padre, sarebbe utile che questa relazione io facessi a Voi anche oralmente: potrebbe farla benissimo, al mio posto, anche il Prof. Primicerio (incaricato di meccanica razionale all’Università di Firenze: anni 25: congregato mariano: struttura spirituale apostolica!) che ha con me condiviso preghiere, le speranze, le difficoltà, le gioie ed i frutti di questo viaggio tanto avventuroso, tanto singolare e tanto inatteso!

E vengo subito alle conclusioni, ai “frutti” di questo viaggio: perché queste conclusioni sono – a noi pare – strutturalmente coordinate alla missione mediatrice di pace che il Signore (ci pare e forse non erriamo!) assegna in modo tanto marcato a Pietro in questo momento così determinante della storia del mondo. Non bisogna, infatti, dimenticare che questo viaggio è avvenuto dopo il viaggio ed il discorso di Paolo VI all’ONU (un viaggio ed un discorso che hanno davvero profondamente ed irreversibilmente operato – orientandolo con estrema chiarezza e grande forza – sul corso della storia presente del mondo) ed ha ricevuto grande propulsione ed inatteso sigillo (in certo senso, obiettivamente) dal dono estremamente significativo di Paolo VI al popolo (davvero martoriato) del Vietnam: popolo del sud e popolo del nord, senza discriminazione alcuna. Discorso di Paolo VI all’ONU; dono (tanto significativo: che ha avuto immensa ripercussione) di Paolo VI al Vietnam (in data 24 ottobre, un giorno dopo la partenza di La Pira per Hanoi): viaggio di preghiera e di pace di La Pira per Hanoi: ecco – ha detto la gente; hanno detto in tanti – tre fatti obiettivamente coordinati ed aventi un solo fine: – la pace nel Vietnam; la integrazione dell’ONU; la pace, perciò, e l’unità del mondo!

Paolo VI (dicono tutti: si dice in tutti i paesi che ho attraversato) ha, in certo senso, le chiavi della pace del Vietnam e del mondo: le chiavi di Hanoi; le chiavi di Washington; le chiavi di New York: con queste chiavi si aprono le porte della pace del Vietnam e, perciò, le porte della pace del mondo: il mediatore qualificato di questa pacificazione (ad Hanoi ed a W.) e di questa unificazione (a N.Y.) del mondo è – come tutti pensano – Paolo VI.

Per quanto concerne Hanoi, ecco, Beatissimo Padre, le “condizioni della pace: – a) cessazione del fuoco (per aria, per mare e per terra) su tutto il territorio del Vietnam (Nord e Sud) (vim fieri veto!); b) applicazione (per la soluzione della drammatica vicenda vietnamita) dell’accordo di Ginevra 1954; accordo specificato nei quattro punti indicati dal governo di Hanoi nello scorso aprile (questi 4 punti sono niente altro che la semplificazione degli accordi ginevrini); c) perché il negoziato cominci non si richiede preliminarmente (ecco la nuova e significativa novità) l’immediato ritiro delle truppe americane e straniere presenti nel territorio del Vietnam: purché l’impegno di ritirare le truppe (in conformità agli accordi ginevrini) sia assunto, ed il fuoco sia cessato e non vi sia, perciò, espansione di alcun tipo delle operazioni militari (altri sbarchi di truppe etc.); il negoziato può immediatamente cominciare, prima che il ritiro effettivo delle truppe abbia luogo.

Ecco la “novità” emersa in seguito (in certo senso) al nostro viaggio ed ai nostri colloqui: il negoziato può subito cominciare, se gli Stati Uniti accettano la cessazione del fuoco e fanno la dichiarazione (che, del resto, essi hanno già, in qualche modo, fatto) di applicazione degli accordi di Ginevra esplicitati nei 4 punti indicati da Hanoi (Mansfield accettò, al Senato – in qualche modo – in settembre, questi 4 punti).

O Ci Minh ci disse: – sono pronto ad andare dovunque ed a incontrarmi con chicchessia per cominciare questo negoziato!

Per valutare il peso della novità emersa nei nostri colloqui di Hanoi, bisogna pensare che sino alla nostra visita ad Hanoi veniva sempre posta, come condizione per aprire il negoziato, la richiesta della partenza preliminare delle truppe americane e straniere da tutto il territorio del Vietnam (“sino a quando vi sarà un soldato americano non inizieremo alcun negoziato”): l’aver ceduto su questo punto così essenziale e di tanto peso militare e politico, costituisce davvero una prova significativa e grande di buona volontà da parte del Vietnam (e del Vietcong) per la edificazione effettiva della pace!

Beatissimo Padre, gli Stati Uniti conoscono queste nuove condizioni di negoziato di Hanoi: sono stati informati pienamente (ed autorevolmente: a N.Y.) di questo mio viaggio e dei suoi risultati: ora la parola iniziatrice del negoziato spetta ad essi.

Questa parola iniziatrice del negoziato verrà? Certo, la situazione si è tristemente appesantita, su tutti i sensi, in questi ultimi 15 giorni. Le correnti politiche kennediane (Fulbright, Mansfield, B.Kennedy, Morse e tanti altri, e le università e gli studenti di America) si fanno più risolute nel chiedere la cessazione di questa guerra triste, inutile, ed anche stupida! Ma anche “i generali” hanno aumentato ed aumentano la loro pressione di terrore! Povera gente, quella del Vietnam, terribilmente sottoposta (con la scusa fasulla dell’anticomunismo) a bombardamenti crudeli ed a crudeli sofferenze: senza ragione!

Dove si giungerà per questa via? Al bombardamento di Hanoi? Delle dighe? Potrebbe scoppiare il mondo se si toccano queste polveriere della storia presente delle nazioni. Bisogna impedire ad ogni costo questo allargamento della guerra e questa “esplosione della terra”: e questo è possibile: è a portata di mano: basta un po’ di buona volontà da parte americana (dei”generali americani”): basta una decisione umana (e politicamente valida) di Jonhson.

Perché, Beatissimo Padre, un accordo col Vietnam sarebbe anche una grande e felice operazione politica: un atto di equilibrio politico – in Asia e nel mondo – di estrema importanza. Il Vietnam non vuol essere satellite della Cina: vuole avere una propria posizione politica e storica: la sua propensione intima – politica, storica, culturale – va verso l’URSS e, specialmente, verso “il destino della Francia e dell’Europa”: il Vietnam potrebbe essere come la Polonia dell’Asia o, anche, come la Jugoslavia dell’Asia.

Ed allora? Non è un atto di “vecchiezza storica” e di delittuosità politica e storica (oltre che umana e cristiana) distruggere coi bombardamenti la nazione vietnamita ed impedire la formazione di un equilibrio politico asiatico che avrebbe ripercussioni felici di pace in tutto il mondo?

Ed eccoci allora, Beatissimo Padre, alla Vostra provvidenziale missione mediatrice: il discorso dell’ONU (e quello successivo fatto al Concilio); l’offerta significativa pel Vietnam; il viaggio di La Pira ad Hanoi; tre elementi che hanno fatto sorgere in tutto il mondo la più grande speranza del nostro tempo: – sarà Paolo VI, dicono tutti, a “sbrogliare” questa terribile matassa vietnamita ed a dare la pace al Vietnam ed al mondo: perché la pace del mondo sta, oggi, di residenza ad Hanoi.

Beatissimo Padre, credo di non errare, di non essere illuso, superficiale, nel dire tutto questo: ho parlato, in questi giorni, con tanti ambasciatori (dell’Est, sovrattutto: Russia, Polonia, Bulgaria: anche coi cinesi di Roma): ho raccolto voci da ogni parte: – Paolo VI può fare moltissimo per la pace del Vietnam e del mondo: ecco ciò che tutti dicono.

E penso che questo sia pure il pensiero di fondo e la speranza di fondo di O Ci Minh (e di Van Dong, suo primo ministro, presente al colloquio del 12 novembre alla residenza presidenziale di Hanoi): il quale pensa a Fanfani (per un verso) e, soprattutto, a Paolo VI (per l’altro verso): Egli, infatti, ci ha accolti (Primicerio e me) come cattolici (l’ultimo giorno, il 12, il giorno, cioè, del colloquio venne fatta celebrare in cattedrale una solenne messa di Requiem per un sacerdote morto in un bombardamento): ed in noi cattolici ha riposto una grande speranza.

Mi chiese O Ci Minh: – Lei cosa pensa di questo viaggio? – L’Ora zero (la mezzanotte) è passata, io dissi: si va verso le prime ore dell’alba: siamo già quasi alle ore quattro: non tarderà a spuntare l’aurora! E dicendo questo, sigillavo la speranza con la consegna di un dono significativo: una riproduzione fiorentina di una Madonna col Bambino di Giotto. “La Madonna farà fiorire l’ulivo della pace”, avevo detto alcuni minuti prima leggendo il testo di un telegramma!
Beatissimo Padre, metteteci Voi le mani, sino alla conclusione del negoziato, in questa tragica vicenda del Vietnam: forse è l’occasione che la Provvidenza ha preparato perché la luce della Chiesa torni a risplendere con pienezza su tutta l’Asia (Cina compresa): e su tutti i continenti si risveglierà, accresciuta, la speranza della “pacem in terris” piantata da Giovanni XXIII ed innaffiata e realizzata da Paolo VI.

Beatissimo Padre, quel che Giovanni XXIII fece per Cuba Voi lo state facendo pel Vietnam: ripeto, il dono al Vietnam è stato da tutti interpretato come dono mediatore di pace: ora tutti attendono altri atti che conducono questa mediazione sino al termine che tutti aspettano (americani in prima linea!) del negoziato e della pace.

Pensando a Cuba mi viene in mente l’opera tanto efficace svolta dalla Segreteria di Stato: essa (attraverso i Suoi titolari) riuscì ad avere nelle mani le fila essenziali della mediazione e della pace. Perché non potrebbe ripetersi questo “miracoloso mediatore” anche in questa questione così determinante (per la pace del mondo) del Vietnam?

La Chiesa americana (in certi vertici) potrebbe fare tanto!

Beatissimo Padre, chiudo questa lettera ricordando il quadro di orazione in cui il viaggio di Hanoi è stato incorniciato: i conventi di clausura dell’Italia e del mondo: e fra questi conventi una parte essenziale, preminente, ha avuto il Carmelo di Varsavia. Lo visitammo due volte: e quelle monachine cui affidammo questo mandato di orazione ci dissero: – Prof. stia tranquillo: chiederemo al Signore ed alla Madonna questo miracolo: e speriamo tanto di ottenerlo: Lei vada, noi preghiamo!

Ed erano tanto commosse!

Con altra lettera Vi racconterò gli altri particolari religiosi del viaggio (Cina, Russia etc.); per ora chiudo ringraziandovi di nuovo – quasi in rappresentanza del popolo del Vietnam e dei popoli stessi di America e di tutto il pianeta – per quanto avete fatto pel Vietnam e per la pace e la speranza del mondo.

Filialmente in X/to:

La Pira

30/XI/’65 S. Andrea

 

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Beatissimo Padre,

permettete che vi esponga alcune riflessioni che mi sono venute nel cuore e nella mente, durante le solenni celebrazioni di chiusura del Concilio.

Beatissimo Padre, si può restare senza una commozione profonda, quando si pensa a quello che è avvenuto nel corso di questi pochi anni nella storia della Chiesa e nella storia del mondo? Per l’unità della Chiesa e per la pace del mondo?

Il punto di partenza di queste riflessioni è costituito, per me, dal grande discorso di Pio XII del 19 marzo 1958: il discorso “profetico” della primavera storica: tutti restarono stupiti nel sentire quel discorso: che senso aveva? Ed eccolo quel senso pienamente dispiegato al termine del Concilio: un Concilio che si radica in quell’annunzio di primavera e di speranza e che lo Spirito Santo pose nel cuore di Giovanni XXIII, nella famosa visita a S.Paolo, nel giorno della festività della conversione di S.Paolo, il 25 gennaio 1959.

Unità della Chiesa e pace del mondo: questa è la primavera e l’estate della storia della Chiesa e del mondo: questo è quello che Pio XII (sotto la luce di Fatima) vide e disse: questo è quello che Giovanni XXIII, nel giorno stesso della Sua elezione, vide e disse (da Firenze io Gli mandai, quel giorno, questa lettera): questo è quello che Giovanni XXIII intese fare (instinctu Spiritus Santi) indicendo il Concilio, aprendolo l’11 ottobre 1962 (Maternità di Maria); emanando la Mater et Magistra e la Pacem in Terris; aprendo le porte della Chiesa a tutti i popoli della terra (sino all’ardimento della visita di Agiubei); e morendo in un atto di amore infinito e paterno per tutti gli uomini, senza discriminazione alcuna.

Questo (unità della Chiesa e pace del mondo) è ciò che ha tatto e fa Paolo VI; dalla sua elezione, alla continuazione del Concilio; dalla Enciclica del dialogo (Ecclesiam suam) ai viaggi di Palestina, di Bombay, di New York (ONU) ed alle prospettive dei viaggi prossimi presso i “punti elevati” della speranza religiosa e civile di tutto il mondo: Cestokowa etc.“unum sint, ut cognoscat mundus”, ecco, Beatissimo Padre, il “piano di Cristo” nella storia presente della Chiesa e del mondo: “unificare” la Chiesa (radicando questa unità in Abramo, ed “investendo”, perciò, Israele: la profezia paolina della “pienezza dei gentili e della pienezza degli ebrei”!) e, perciò, pacificare ed illuminare il mondo (tutti i popoli e tutte le nazioni): “lumen ad illuminationem gentium”.

Questo ha fatto il Concilio: questo ha fatto Giovanni XXIII; questo ha fatto e fa Paolo VI: hanno “messo in movimento” le forze divine della unificazione della Chiesa e della pacificazione del mondo: e queste forze divine – nonostante le resistenze spettacolari del nemico di Dio – avanzano in modo irresistibile; fanno avanzare in modo irresistibile la Chiesa ed i popoli verso questo duplice traguardo della unità e della pace: fanno avanzare in modo irresistibile questa stagione nuova (“di primavera e di estate”: Pio XII) della storia della Chiesa e del mondo. Tutte le tempeste vengono, di volta in volta, fugate: e l’unità e la pace si fanno strada, come soprannaturale ardimento, nella storia della Chiesa e dei popoli. Spes contra spem!

Beatissimo Padre, esageriamo? No, ed eccone le prove. Il Vostro viaggio all’ONU e le sue immense ripercussioni nella storia dei popoli: chi lo avrebbe potuto concepire sette anni fa, quando Giovanni XXIII annunziava il Concilio e Pio XII parlava della primavera storica.E lo stesso dicasi dei viaggi “profetici” di Gerusalemme (2050 anni dopo, Pietro a Gerusalemme) e di Bombay (“le genti ti aspettano”). Segni inequivocabili della stagione nuova del mondo. E i rapporti nuovi “di unità” con la Chiesa ortodossa e con tutte le Chiese separate? I rapporti col Patriarca Athenagora e con il Patriarca Alessio?

L’altro giorno – a S. Pietro, in occasione della Chiusura del Concilio – vidi il Metropolita Niccodemo; quello stesso M. Niccodemo che nel 1959 (Assunzione) avevo visto a Mosca: appena sei anni fa, e sembrano davvero sei secoli! Chi avrebbe pensato, sei anni fa, che il Patriarca di Mosca (attraverso il Suo “segretario di Stato”) sarebbe stato presente alla Chiusura del Concilio Vaticano II?

Beatissimo Padre, quanti ricordi mi suscita nell’anima questa presenza! Il viaggio (che fu tanto criticato!) a Mosca del 1959 fu “stimolato” da questo unico desiderio (quello di Fatima): – l’unità della Chiesa e la pace delle Nazioni!

E così, ricordo pure la visita al Patriarca Athenagora nel gennaio 1960 a Costantinopoli: la visita ai Patriarchi di Oriente (ortodossi, copti etc.) al Cairo ed Alessandria nel gennaio 1960; tutte visite animate da un solo desiderio, da una sola speranza, da una sola tesi: l’unità della Chiesa e la pace delle nazioni (ed anche allora quante critiche e quante incomprensioni).

Quante critiche, quante amarezze! Ed ecco, meno di sei anni dopo, Athenagora a Roma (attraverso il Suo “secondo”) ed i Patriarchi di Oriente (Osservatori etc?) a Roma!

Mi ricordo, quando parlai della unità della Chiesa al Metropolita Nicola (a Mosca), gli spuntarono le lacrime e mi disse: – da essa dipende la pace del mondo!

Beatissimo Padre, quale viaggio fu mai “quel viaggio di Assunzione” fatto per portare a Mosca, a Zagorski, a Kiev, il messaggio di Fatima: un viaggio benedetto (con telegramma) da Giovanni XXIII: un viaggio che allacciò per la prima volta (in certo senso) un rapporto nuovo (dopo tanto odio) di speranza e di attesa fra la Chiesa di Mosca e la Chiesa di Roma: un viaggio di grazia e di unità: un viaggio di pace: un viaggio che è stato con tanto affetto ricordato dal Patriarca Alessio e dal Metropolita Niccodemo in occasione della mia ultima visita (2 novembre scorso) a Zagorski ed al Patriarcato di Mosca: un viaggio che si corona (in certo senso) con la visita davvero così significativa (miracolosa!) del Metropolita Niccodemo al Concilio ed a Paolo VI.

Eppure, quel viaggio causò due giudizi tanto severi e tanto superficiali sulla “Civiltà Cattolica” (allora dominata da P. Messineo): la superficialità di quei giudizi (La Pira passa sempre per il solito imbecille!) appare oggi, alla luce della Chiusura del Concilio, incauta e straordinaria davvero (anche ai gesuiti poteva sfuggire, allora, il “senso della storia”! Era, quello, il tempo della campagna contro Maritain e contro Mons. Montini).

Beatissimo Padre, e cosa dire dei nostri contatti e dei nostri colloqui e dei nostri convegni (sempre nella direzione della “unità dei credenti nel Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe”) con Israele e con l’Islam? La visita alla tomba di Abramo nel Natale 1957 Ad Hebron; la visita in Israele nel febbraio 1958 (a partire dal Monte di Elia, dal Carmelo); la visita a Rabat nel 1957, al Cairo nel ’60 etc. etc.: la direzione sempre la stessa: “convergenza in Abramo della triplice famiglia dei credenti nel Dio unico: ebrei, cristiani, mussulmani”. Il gemellaggio Firenze-Fez fu fatto in quella prospettiva: ma quali incomprensioni e quante pene! Anche il S. Offizio “fu interessato” della cosa: e ci volle il personale intervento di Giovanni XXIII per mettere a tacere le cose! Eppure non si faceva altro che “mettere in movimento” (per la parte a me riservata) la speranza unitiva e pacificatrice della Chiesa e del mondo (come Pio XII aveva detto, come Giovanni XXIII ci aveva chiaramente già indicato).

Oggi, a Concilio chiuso, dopo gli atti di esso, appare chiaro che non eravamo visionari, stupidi, illusi: speravamo nel solco che il Signore e la Sua Chiesa con tanta chiarezza ed insistenza indicavano ai fedeli; a tutti i fedeli: alla gerarchia ed ai laici. Chiese separate di Oriente (Costantinopoli, Mosca, Alessandria, Gerusalemme etc.) e di Occidente (Londra, Ginevra etc.; Israele, Islam; movimento di “convergenza”; di “unità”: ecco il motivo animatore di tutta l’azione fiorentina nel periodo che va dal 1957 al 1965! Non per nulla sostenemmo sempre che il Concilio Vaticano II era la prosecuzione ideale, teologica, del Concilio di Firenze del 1439! Fra S.Maria Novella, S. Maria del Fiore, Palazzo Vecchio del 1439 e S.Pietro del 1962/1965 c’era (c’è stata davvero) una continuità di disegno!

Beatissimo Padre, oggi, a Concilio chiuso, possiamo o no dare una risposta positiva alla domanda: – la storia della Chiesa (il piano storico di Dio!) si è mossa o no arditamente, irresistibilmente, verso il punto di orientazione di tutta la storia del mondo, cioè l’unità della Chiesa (sino a comprendere in partenza Israele, Ismaele!) e la pace del mondo? Questa irresistibile orientazione e questa irresistibile avanzata, costituisce o no la nota definitoria della nuova epoca storica del mondo (dell’epoca spaziale!)? Ed a Firenze avevamo sbagliato, eravamo stati illusi, irresponsabili, presuntuosi, stupidi etc. etc. quando – seguendo le direttive di Pio XII e di Giovanni XXIII – ci eravamo mossi per assecondare quella orientazione e per collaborare (per la parte a noi riservata) a quella avanzata?

Ecco, Beatissimo Padre, una domanda che – a Concilio chiuso – chiede davvero una risposta!
Ut unum sint: la preghiera creatrice di Gesù – creatrice della storia della Chiesa e del mondo – è stata vista in opera con tanta chiarezza in questi anni: questo arco di tempo che va dalla festa di S. Giuseppe 1958 (Pio XII) alla elezione di Giovanni XXIII (28 ottobre 1958) all’annunzio del Concilio (20/1/1959), alla apertura del Concilio (11/X/62) alla chiusura del Concilio (8/XI/1965), ha manifestato a tutte le creature pensose, attente, oranti, il piano di Dio nella storia della Chiesa e del mondo: l’unità della Chiesa e la pace (e la illuminazione) dei popoli! Una chiara teologia e teleologia della storia.

Lo so: l’unità della Chiesa è ancora un “fatto di prospettiva”: è vero: ancora restano tanti spazi da superare nel cammino verso di essa: ma il cammino è già iniziato: la convergenza è già in atto: il seme è già posto nel solco già aperto: possiamo, perciò, dire col Signore: levate capita vestra et videte! E la pace dei popoli? E la emergenza e la unificazione dei popoli? Cosa dire, sette anni dopo il discorso di Pio XII; sette anni dopo l’elezione di Giovanni XXIII e l’annunzio del Concilio? Anzi: 14 anni dopo la “piantagione fiorentina” dei Convegni della pace operata – in certo senso – da Mons.Montini nell’Epifania 1951?

Questo “punto omega”, polarizzatore della storia presente del mondo; che la preghiera di Cristo mostra (in certo senso) come punto finalizzatore della storia del mondo; questo porto di speranza e di gioia dei popoli che la preghiera di Gesù ci indica, ha operato in questi anni? Il Concilio – e Giovanni XXIII e Paolo Vi – ha operato in questa direzione una parte costitutiva e determinante?

Beatissimo Padre, anche qui si tratta di osservare con attenzione, con preghiera, con amore, i fatti essenziali di questi anni! Potrei cominciare dall’ultimo: il viaggio di Paolo VI all’ONU e l’apertura anche politica di immensa speranza operata da questo viaggio nella direzione del punto critico della storia politica odierna: nella direzione di Pechino. Ma procediamo in ordine.

Beatissimo Padre, che senso hanno il “disgelo” sovietico del ’56-’57-’58 con Krusciov; le elezioni americane del ’59 con l’elezione di Kennedy; la politica italiana (dopo il ’57-’58) con Fanfani; la pacificazione algerina conseguente alla elezione di De Gaulle (dopo il ’58); la emergenza “tumultuosa” sia pure, dei popoli nuovi (dopo Bandung); la soluzione miracolosa della crisi di Cuba; l’introduzione della navigazione spaziale (’61) e così via.
Che senso ha questo spettacolare fermento storico, politico, scientifico, tecnico, sociale, culturale etc. verificatosi nello stesso periodo di tempo nel quale emergeva con tanta forza il moto di convergenza, di unità, della Chiesa? Nello stesso spazio di tempo, nel quale nasceva il discorso di Pio XII, l’elezione di Giovanni XXIII, il Concilio, l’elezione di Paolo VI? Moto storico irresistibile, inevitabile, verso la pacificazione, la unificazione e la elevazione civile e spirituale del mondo!
Si sa: si tratta di un moto storico non lineare: drammaticamente attraversato da immense forze avverse, di resistenza: dalla morte tragica di Kennedy etc.: dai zig zag di Israele nel deserto! Ma – ed ecco il problema vero – la orientazione di fondo è, o no, la (inevitabile) pace del mondo, la (inevitabile) unificazione del mondo; la (inevitabile) illuminazione e promozione del mondo? Giovanni XXIII lo disse: il Signore gli aveva ispirato il Concilio per collaborare – “stimolando” l’unità della Chiesa – alla unificazione e pacificazione dei popoli! “Effonderò un fiume di pace”, aveva profeticamente detto in un Suo radiomessaggio Pio XII (citando Isaia).

Beatissimo Padre: quale era allora (’56, ‘57’ ’58, ’59, ’60, ’61, ’62, ’63, ’64) il “punto di crisi” per la pace del mondo? Quale era la Gerico da conquistare? Dove erano, allora, le chiavi della pace? A Mosca. E la Chiesa – e la storia: cioè il piano di Dio nella vita dei popoli – si orientò verso quel punto di crisi, verso quella Gerico munita di una muraglia severa e chiusa: verso quella Gerico, puntò Pio XII e puntò Giovanni XXIII. E verso quella Gerico puntò l’orazione dei monasteri di clausura di Italia e del mondo: puntò l’azione di pace di Firenze! Beatissimo Padre, la pace totale del mondo ha fatto progressi in questo arco di tempo che va dalla prima speranza (di Fatima) di Pio XII all’azione di Giovanni XXIII e del Concilio (sino alla visita di Agiubei!)? Certo e quali e quanti!

Quando penso al viaggio di Mosca del 1959, ai Colloqui del Cremino etc. e penso alla Mosca di oggi (a quella del viaggio nov. 1965) non posso non restare stupito: quali eventi da allora! La Chiesa ha forzato quel cammino; ha forzato quelle mura di Gerico; ha fatto il ponte fra l’Est e l’Ovest; ha fatto fiorire immense speranze di pace (il trattato nucleare di Mosca dell’agosto ’63 è dovuto, indirettamente, a Giovanni XXIII).

Beatissimo Padre, lo so: dopo quei grandi passi nel cammino della pace – durante il tempo di Giovanni XXIII e del Concilio; durante il tempo di Kennedy e di Krusciov – eccoci ora ad una svolta nuova, estremamente pericolosa: Kennedy ucciso; Krusciov dimesso; Jonshon a capo dell’America; Pechino emerge minacciosa; il Vietnam è in fuoco!
La pace si è certamente “fermata”: nuvole paurose vi sono nell’orizzonte dell’Asia, dell’America, del mondo.
Mentre il Concilio si chiude, l’orizzonte storico e politico appare certamente pieno di minaccia e pieno di tempesta!

Andiamo, dunque, verso la catastrofe apocalittica? Verso la fine della terra e del mondo? Dunque la nostra speranza si è estinta? Ed ecco, a questo punto, rifiorire improvvisamente la speranza che pareva perduta.
Certo, il “punto di crisi” è ormai Pechino; la nuova Gerico severa e munita è Pechino; la nuova Gerico da attraversare, per andare verso la terra della pace, è Pechino!
Nel momento in cui il Concilio si chiude, mentre il Cielo è così offuscato, mentre non si sa da quale parte andare per riprendere il cammino della pace, ecco un punto nuovo di riferimento per riprendere questo cammino: è Paolo VI all’ONU! E’ sempre la Chiesa: come già Pio XII e Giovanni XXIII, ecco ora – nel punto di svolta della storia – Paolo VI riaffermare – in certo modo – la speranza della pace e le chiavi della pace. Paolo VI – la Chiesa cioè – punta imprevedutamente (in certo modo) la sua orazione e la sua speranza soprannaturale nella direzione dell’Asia, di Pechino; nella direzione del nuovo punto di crisi della storia e del mondo! Per la “conversione” di Pechino! Come già per Mosca, ecco ora l’orientazione di grazia e di speranza puntare verso Pechino: “ove il corpo ivi le aquile”. Perché la pace riprenda il suo cammino, bisogna che si verifichi – come già quello di Mosca – il “disgelo” di Pechino. Ci vuole una “mediazione” per Pechino. Chi la farà? Può sembrare strano, quasi stravagante, la risposta: eppure “c’è nell’aria” una risposta, curiosa davvero: per questa “mediazione” verso la Cina, sorge nel mondo, la speranza della Chiesa e la speranza di Paolo VI, la speranza dell’ONU. Il discorso all’ONU; l’offerta pel Vietnam; il discorso ai Vescovi del Vietnam; l’impegno deciso, fermo, audace, per la pace (“o noi distruggiamo la guerra o la guerra distrugge noi”) nel Vietnam (compreso il viaggio di La Pira ad Hanoi) e nel mondo, hanno fatto di Paolo VI, in questo momento di chiusura del Concilio e di aggravamento della situazione del mondo, la speranza nuova del mondo! Per andare ad Hanoi ed a Pechino, si passa da Roma, da Paolo VI: per attraversare il fiume si passa attraverso un solo ponte: il ponte di Paolo VI.
America e Cina – le due sponde tanto lontane del fiume tempestoso del mondo – hanno un ponte solo che le può unire: la Chiesa, Paolo VI. Sembra strano, stravagante, dire questo: eppure i popoli (in certo senso) pensano così!

Beatissimo Padre, è “la teologia della storia”: questa misteriosa teologia di salvezza di tutte le nazioni: che si serve di tutto – degli errori stessi e delle stesse colpe degli uomini, dei popoli – per condurre a temine la grande epopea di grazia e di pace (la regalità di Cristo) che il Signore persegue nella storia del mondo!Se, ieri a Mosca; oggi Pechino; come già “l’altro ieri” (duemila anni or sono) era Roma!

Queste cose, Beatissimo Padre, pensavo il giorno dell’Immacolata, assistendo alle straordinarie cerimonie di chiusura del Concilio: pensavo (e pregavo) alla Chiesa dell’Immacolata di Pechino dove un mese prima (il 7 nov.) Primicerio ed io avevamo fatta la S. Comunione. L’Immacolata era sopra l’altare: segno e pegno delle grandi speranze future. Ora, dicevo a me stesso, eccoci – nel giorno dell’Immacolata – alla chiusura del Concilio: la Cina è assente; è vero, Pechino è assente, è vero: Hanoi è assente, è vero; eppure eccoci noi, con questo ricordo di amore e di grazia che ci pone nel cuore proprio “la Immacolata di Pechino”! Chissà per quali vie la Provvidenza sta conducendo – nel post Concilio – la Chiesa e Paolo VI e le nazioni: certo è questo: un segno di speranza è sorto nel Cielo della Cina: qualcosa è in movimento: Paolo VI ha “guadagnato” qualcosa di essenziale, rispetto alla Cina, – col discorso all’ONU e con l’amore pel Vietnam – per la pace e la speranza dei popoli!

Beatissimo Padre, questo ci sembra il compito più urgente per il tempo post conciliare: questo compito attrattivo, di grazia, di speranza, di amicizia, verso il più potente (in certo senso) e pericoloso protagonista della storia prossima del mondo: verso la Cina! Unità della Chiesa e pace del mondo: ecco i due traguardi verso i quali inevitabilmente ed irresistibilmente avanza, in questa epoca eccezionale, la storia della Chiesa e la storia dei popoli! Ed a questo punto risorge una domanda, una inevitabile domanda: – perché Firenze non potrebbe rifare per Pechino quello che ha già fatto per Mosca? Non è essa pure – per il destino che il Signore Le assegna – una città verso cui converge (come verso Gerusalemme) la speranza e la pace delle nazioni? Le cose sperimentate ieri non possono essere lezione feconda per le cose da sperimentare domani? Se il Signore vorrà!
Ma qui mettiamo fine a questa lettera tanto lunga: grazie di tutto, Beatissimo padre: la madonnina vi ponga nel cuore una infinita gioia!

Filialmente in X/to:

La Pira

10 Dicembre 1969 (S. Melchiade)

Il popolo del Vietnam (Nord e Sud) spera soltanto in Voi: è un popolo letteralmente martoriato dai bombardamenti e dalla guerra! Vi tende la mano! E’ un terribile errore, anche politico, distruggerlo! Alle funzioni di chiusura del Concilio ho rivisto un Padre Gesuita che fa un immenso bene nel Libano: è melchita: ha davvero la struttura e la vocazione di una “guida spirituale” del popolo libanese: l’ho conosciuto (sin dal 1956) a Beirut (Padre Ignazio Aldo Khalifi s.j.)

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Beatissimo Padre,


in questi giorni sto leggendo (e per una ragione storica, politica e religiosa evidente ed urgente) Chiesa e Stato attraverso i secoli: il problema del mondo, oggi, è questo: «rivedere» -vedere «riemergere» in questa età nuovissima del mondo- la Chiesa quale soggetto essenziale dell’ordine storico, giuridico e politico mondiale: quale essenziale protagonista (il più importante, in certo senso) della edificazione del nuovo universo delle nazioni: quello che si costituisce in questa età della inevitabile unificazione e pacificazione delle nazioni! 
Bisogna riprendere coscienza di questa «soggettività» eminente della Chiesa Cattolica (romana!) nell’ordine giuridico e politico del mondo: soggettività che i secoli, -la storia!- chiaramente indicano (essa, in un certo senso, la creatrice dell’ordine giuridico internazionale) e che costituisce il problema fondamentale dell’attuale situazione storica e politica delle nazioni. 
Il problema del concordato sta tutto qui: «l’altra parte» (la Chiesa) è un soggetto giuridico e in certo senso politico che regge, insieme con lo Stato (con gli Stati) l’ordine totale e la storia totale del mondo! 
Leone XIII vide questa realtà con tanta luce! «Immortale Dei». Quello del concordato non è un piccolo, marginale, problema: esso si eleva proprio a questa alternativa: la Chiesa suprema oggetto giuridico e politico, centro di gravità dell’universo delle nazioni! 
«La Chiesa, il vessillo elevato sulle Nazioni».

Ecco, Beatissimo Padre, il grande problema storico e politico di oggi: -«chi dicono gli uomini che io sia?» Questa è la domanda che la Chiesa, ripetendo le parole del Signore proprio oggi -in questa età nuovissima, atomica, spaziale, demografica, millenaria, scientifica ecc.- invita i popoli e le nazioni (non solo i singoli) a porsi questa domanda, ed a trarre da essa tutte le implicazioni storiche, politiche, culturali, spirituali etc. che essa comporta! 
La «fiacchezza» della polemica occidentale (postconciliare, come si dice) sta nel mettere «in disparte» (per così dire) questa soggettività giuridica e politica della Chiesa: questa soggettività che fa di essa il «pernio» dell’equilibrio delle nazioni, il punto unificante del mondo! Bisogna rimeditare tutta la storia della Chiesa: da Paolo che «punta» sulla casa di Cesare, a S. Silvestro che «negozia» con Costantino, a Leone Magno che «negozia» con Attila etc. etc. sino a Paolo VI che parla all’ONU e che si volge a Pekino! 
Unificare il mondo: ecco il problema -unico- di oggi: unificarlo facendo ovunque ponti ed abbattendo ovunque muri: ebbene, questa unificazione non è possibile -quasi non ha senso- se non passa (in certo modo) da Pietro: se, cioè, questa unificazione giuridica e politica fra gli Stati non è accompagnata dal rapporto unificante -giuridico e politico (in senso profondo)- fra gli Stati e la Chiesa! 
Questo il grande problema di oggi: rivedere la Chiesa come centro di gravità delle nazioni e come soggetto «l’altra parte» essenziale dell’ordinamento giuridico e politico del nuovo universo dei popoli e delle nazioni.


Ecco, allora, Beatissimo Padre, l’immenso valore -la grande attualità ed urgenza- dei contatti e dei rapporti della Chiesa con tutto il mondo «dell’Est» e «del Sud»: qui essa trova i nuovi interlocutori, «l’altra parte», capace -malgrado «l’ateismo ufficiale»- di vederne la struttura storica e giuridica, politica e spirituale, destinata a fare da «ossatura» al corpo delle nazioni. 
A me pare che la Chiesa vincerà la Sua grande battaglia odierna (anche interna) proprio all’Est ed al Sud: solo «attraverso i barbari» essa potrà ricomporre (per così dire) «l’impero romano in decadenza» e potrà ricomporre (per così dire) «il nuovo impero», «l’unità nuova dei popoli»! 
Forse queste non sono illusioni: forse è questo il punto della storia -Pace inevitabile, unificazione del mondo inevitabile; emergenza dell’Est e del Sud inevitabile- nel quale avrà luogo la grande riemergenza storica, giuridica e politica della Chiesa: «la Chiesa il vessillo elevato sulle nazioni». 
Filialmente nel Signore

La Pira

27-2-70 S. Pier Damiani!


Preparo alla luce di questo «tessuto storico e giuridico e politico» il mio viaggio (in aprile) a Mosca! 
Queste cose, del resto, da vario tempo esplicitamente e vigorosamente dico nei miei rapporti (a tutti i livelli) con i paesi dell’Est (Germania, Cina, Urss, Ungheria, Polonia etc.).