Cardinale Giuseppe Betori sulla movida: “Vita barbara e selvaggia”

Jumapili 25 maggio il Cardinale Giuseppe Betori, Askofu Mkuu wa Florence, ha celebrato la sua prima messa in Duomo con la partecipazione del popolo, dopo lo stop imposto dal Governo a causa dell’Emergenza del Coronavirus.

Nell’omelia, in gran parte dedicata alla Solennità dell’Ascensione e alla celebrazione della 54ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, il Cardinale Betori ha fatto un riferimento alla movida: “Vanno rinsaldati i principi legati alla dignità della persona e alla ricerca del bene comune, senza i quali la società ricade a vita barbara e selvaggia.Costruiamo insieme un mondo nuovo”.

All’inizio, nel dare ai presenti un assoluzione generale dai peccati, il porporato ha detto: “Riprendiamo oggi le celebrazioni eucaristiche domenicali con il popolo in questa cattedrale. Lo facciamo con la gioia, lo facciamo con responsabilità per la salute di tutti, accettando alcune limitazioni che non offuscano tuttavia l’incontro dei credenti con il Signore; lo facciamo portando nel cuore le morti e le sofferenze di questi giorni come pure i gesti di amore di cui molti stanno dando prova, segni nel tempo della forza della risurrezione”.

“Non si tratta di ricominciare come nulla sia accaduto, ancora meno con il respiro corto della ricerca della sopravvivenza, quanto piuttosto di incamminarci con lo sguardo coraggioso della costruzione di una cosa nuova”.

Riprese video e foto di Franco Mariani

Franco Mariani
Kutokana na idadi 297 – Anno VII del 27/5/2020

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Questo il testo integrale dell’omelia del Cardinale Giuseppe Betori:

Riprendiamo oggi le celebrazioni eucaristiche domenicali con il popolo in questa cattedrale. Lo facciamo con la gioia di una comunità che può tornare a condividere il cuore della sua fede; lo facciamo con responsabilità per la salute di tutti, accettando alcune limitazioni che non offuscano tuttavia l’incontro dei credenti con il mistero della Pasqua del Signore; lo facciamo portando nel cuore le morti e le sofferenze di questi giorni come pure i gesti di amore di cui molti stanno dando prova, segni nel tempo della forza della risurrezione.

Celebriamo di nuovo insieme nella domenica in cui la Chiesa universale vive la 54a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, in cui quest’anno il Papa propone questo tema: “Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria” (Es 10,2). La vita si fa storia. Il Papa richiama il mondo della comunicazione al suo compito di essere uno specchio veritiero dei fatti della vita e non invece un discorso che introduce il virus delle ideologie che li deformano a vantaggio di disegni disumani. Afferma il Papa: «Spesso sui telai della comunicazione, anziché racconti costruttivi, che sono un collante dei legami sociali e del tessuto culturale, si producono storie distruttive e provocatorie, che logorano e spezzano i fili fragili della convivenza. Mettendo insieme informazioni non verificate, ripetendo discorsi banali e falsamente persuasivi, colpendo con proclami di odio, non si tesse la storia umana, ma si spoglia l’uomo di dignità» (Messaggio per la 54a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2).

Il Papa, na kisha, ricorda che c’è una storia che è parametro di confronto per ogni storia umana, ed è la storia della salvezza che narrata nelle Sacre Scritture. Essa offre i criteri per il discernimento di ciò che costituisce il patrimonio autentico dell’umano. Una storia che va resa attuale nella vita degli uomini. Scrive il Papa: «Per opera dello Spirito Santo ogni storia, anche quella più dimenticata, anche quella che sembra scritta sulle righe più storte, può diventare ispirata, può rinascere come capolavoro, diventando un’appendice di Vangelo».

Il tema di questa Giornata si intesse con il presente, in quanto l’emergenza che viviamo ha bisogno di una lettura corretta, che richiami a responsabilità e alimenti la speranza. Abbiamo bisogno di dirci quel che accade nella verità, ma anche capaci di cogliere nelle vicende i segni di bene che vi affiorano e gli orizzonti di speranza che devono darci coraggio. Sarebbe un grave errore lasciarsi soffocare dal peso delle sofferenze e dei disagi, non perché li si voglia negare, ma perché la fede ci aiuta a vivere anche i momenti del dolore nella luce della Pasqua. Sotto un cumulo di notizie, abbiamo bisogno di dare un senso a tutto quanto ascoltiamo e leggiamo, il senso nasce dallo scorgere come Dio sia presente nell’agire di tante persone che operano il bene e si fanno carico dei propri fratelli.

Come cogliere questa presenza di Dio? La risposta viene dall’odierna solennità liturgica. In questa domenica in Italia si celebra la solennità dell’Ascensione del Signore, che il calendario liturgico universale colloca invece nel giovedì scorso. Nel mistero dell’Ascensione di Gesù al cielo, noi celebriamo l’esito ultimo della Pasqua, cioè l’esaltazione del Figlio di Dio, nella sua umanità crocifissa e risorta, verso la dimensione trascendente della vita trinitaria. Il cielo a cui Gesù ascende non è infatti un luogo fisico un po’ più in alto della terra, ma la sfera divina in cui il Padre lo accoglie dopo che egli, nell’obbedienza, ha attraversato per amor nostro la morte e da lì è risorto, primizia dell’umanità salvata. Da questa trascendenza Gesù, il Signore, guida la storia e ci attende per accoglierci alla fine dei tempi: «Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo» (At 1,11).

La vita di ciascuno di noi, la vicenda umana, anche questi giorni di oscurità e fatica, si collocano quindi, in rapporto a Gesù, all’incrocio tra la sua esistenza nel tempo, culminata nella sua morte e risurrezione, e la sua collocazione trascendente rispetto alla nostra storia. Quanto ci accade va cioè illuminato da una parte con la luce che proviene dall’esistenza del Figlio di Dio fatto uomo nella terra di Palestina duemila anni fa, quell’esistenza di cui ci è lasciata traccia dalle fede della Chiesa nel racconto dei Vangeli, dall’altra con lo splendore con cui dal mistero stesso di Dio, oggi abitato dall’umanità di Gesù, ogni vicenda di questo mondo viene illuminata, anzi attratta a sé dando risposta all’attesa di pienezza che è nel cuore di ogni uomo. È quanto l’apostolo Paolo chiede per i cristiani di Efeso: «Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore» (Ef 1,17-19).

Questo è un cristiano, un uomo che sa leggere sé stesso e il mondo con lo sguardo di Gesù come lo propone la narrazione evangelica e al tempo stesso con il desiderio che dal cuore della Trinità lo stesso Gesù dice di poter esaudire in pienezza. Posto tra la storia e l’assoluto, il cristiano cammina ogni giorno con responsabilità di fronte alle cose relative di questo mondo e con l’aspirazione a un oltre che può venirgli solo dal Risorto esaltato, di cui sperimenta già la presenza per grazia nei segni di bene che scorge nella storia. In questo cammino, pur tra prove e incertezze, ci rassicura la promessa di Gesù, kwamba, esaltato, non ci ha abbandonato: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

Lo sguardo sull’oltre, che l’odierna solennità ci invita a coltivare, è anche utile a muoverci al di là dell’attuale emergenza sanitaria e a guardare alla realtà sociale ed economica verso la quale dobbiamo incamminarci, meno con lo spirito di una ripartenza, quasi che si possa ricominciare come se nulla sia accaduto, ancora meno con il respiro corto della ricerca di una sopravvivenza, che durerebbe poco, quanto piuttosto con lo sguardo coraggioso della costruzione di un cosa nuova. Non per rinnegare il nostro passato e i suoi caratteri, ma per reinterpretare quei caratteri tutti nostri nelle forme nuove che ci attendono. In questa prospettiva va ripensato il legame tra conoscenza, arte e carità, il cui tessuto ha rappresentato il meglio delle nostre stagioni; vanno rinsaldati i principi legati alla dignità della persona e alla ricerca del bene comune, senza i quali la società decade a vita barbara e selvaggia. Tutto questo legando spirito creativo personale, dimensione familiare, tessuto sociale, filiere produttive, lavoro per tutti.

Un mondo nuovo ci attende. Ci ispirino i nostri padri che non si lasciarono sconfiggere dalle ricorrenti pandemie, ma da esse risorsero con frutti di progresso, di bellezza e di carità fraterna sempre nuovi. Il Signore benedica il nostro impegno.