Eugenio Giani commenta la Messa di Natale del Cardinale Betori tra i terremotati del Mugello
Il Presidente del Consiglio Regionale della Toscana Eugenio Giani commenta la Messa della notte di Natale 2019 celebrata a Barberino del Mugello dal Cardinale Giuseppe Betori, Arsobispo sa Florence, tra i terremotati del Mugello.
Riprese video e intervista di Franco Mariani.
Foto scattate da Anna Zucconi per la Caritas di Firenze e dal settimanale Toscanaoggi
Franco Mariani
Gikan sa gidaghanon 276 – Anno VI del 18/12/2019
Solennità del Natale del Signore – Messa della notte
25 December 2019
Barberino di Mugello
Messa con la popolazione dopo il terremoto
[Is 9,1-3.5-6; Sal 95; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14]
OMELIA del Cardinale GIUSEPPE BETORI
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14). Il canto degli angeli ci rassicura che con la nascita del Figlio di Dio tra gli uomini si apre un orizzonte di speranza per noi, perché la pace, cioè la pienezza del bene, è un dono possibile per chi accoglie il Bambino di Betlemme.
Di questa parola di speranza abbiamo particolare bisogno in questa terra del Mugello, segnata dal terremoto. Il timore segna ancora i nostri cuori, e questo è naturale, ma non dobbiamo lasciarci vincere dalla paura.
Lasciate che ve lo dica un vescovo che viene dall’Umbria, terra anch’essa di terremoti, che non può dimenticare come la casa sua e dei suoi fratelli dovette essere rasa al suolo dopo il terremoto del 1997, per essere poi ricostruita.
Oltre a volervi manifestare un segno di affetto, è anche questa esperienza che mi ha fatto decidere a condividere con voi la Messa della Notte di Natale. Non posso infatti dimenticare come per ben due anni, essendo inagibile la cattedrale di Foligno, ho celebrato ogni domenica prima sotto un tendone e poi in un prefabbricato.
Un disagio e una precarietà che ci faceva sentire però più vicini al Signore, il quale nel Vangelo dice di sé: «Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8,20).
Sono accanto a don Stefano e a Don Nicola e assicuro a loro e a voi che faremo quanto possibile per farvi tornare nei tempi tecnici più stretti nella vostra chiesa parrocchiale. La vicinanza e l’impegno si estendono agli altri sacerdoti e alle altre comunità che hanno al momento le chiese serrate per inagibilità.
Penso soprattutto a Sant’Agata, ma anche alla comunità rumena ortodossa che si riuniva a Patrona.
La speranza deve sorreggerci nel ritorno a una normalità di vita, che avrà tempi diversi a seconda dei danni subiti e dei disagi patiti, ma che occorre riconoscere già ben avviata, grazie all’impegno delle amministrazioni, delle istituzioni e del volontariato.
Non è mancato il pronto intervento nel provvedere a chi non poteva rientrare nella propria abitazione, nel valutare le situazioni di inagibilità, nell’offrire a tutti sostegno e vicinanza. Di questo dobbiamo essere grati e essere pronti a compiere gli ulteriori passi che ci saranno richiesti per uscire dalla fase dell’emergenza e cominciare a progettare un futuro più sicuro, in quanto garantito da interventi per ridurre gli effetti del rischio sismico sui nostri edifici.
Il terremoto ci ha mostrato anche quanto siano importanti le relazioni nella nostra vita. Proprio perché ci si è sentiti una comunità e sono emersi legami forti, siete riusciti a vivere questi momenti di sofferenza in maniera dignitosa e capace di sopperire ai bisogni.
Il Natale ci illumina anche in questo, in quanto nella grotta il Bambino non ci si mostra solo, ma custodito dagli affetti di una famiglia. Maria e Giuseppe accolgono il Figlio di Dio, e la sua piccola vita trova uno spazio di amore e protezione in cui nascere e crescere.
Maria e Giuseppe che si prendono cura del Bambino Gesù diventano modello nel prenderci cura gli uni degli altri, in quanto in ogni uomo e donna dobbiamo riconoscere il volto di Gesù.
È il volto che risplende soprattutto in coloro che più soffrono e faticano nella vita, come accade qui in questi tempi e come ci accade di incontrare, provenienti anche da paesi lontani.
Gesù, con Maria e Giuseppe, si è trovato alla sua nascita in una situazione per alcuni aspetti simile a quella vissuta qui, nel Mugello, da molta gente: senza una casa, nella precarietà non di una grotta ma di un ricovero di fortuna, in uno spazio non proprio ma da dover condividere con altri, noi peraltro più fortunati di Gesù, in quanto gli altri con cui condividere un tetto sono uomini e donne e non un bue e un asino.
Ma se gli animali, secondo la tradizione, hanno offerto il loro calore al Bambino, le persone con cui si è condiviso l’alloggio precario, perché colpiti dalla stessa prova o perché giunti da ogni dove a condividerla per spirito di generosa solidarietà e carità, sono stati strumento non solo di calore umano ma anche di concreto sostegno materiale. È quindi importante per noi sentirci comunità, aiutati dalle amministrazioni locali e dalle parrocchie.
Torno sulla presenza tra noi di numerosi volontari, spinti da sentimenti di solidarietà e carità. Sappiamo come questa rappresenti una delle ricchezze di cui la terra toscana può andare giustamente orgogliosa. A tutti costoro vada la nostra gratitudine.
Mi piace accostare la loro presenza in questi luoghi a quella dei pastori alla grotta di Betlemme. Essi giungono alla mangiatoia in cui è posto Gesù mossi dalle parole dell’angelo che annuncia loro «una grande gioia», la nascita di «un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10.11). Li muove quindi l’annuncio che c’è un dono per loro e per tutta l’umanità.
In questa prospettiva vorrei richiamare, non solo ai volontari ma anche a ciascuno di noi, quanto sia importante riconoscere in Gesù il nostro Salvatore ed essere pronti a muoverci verso di lui, soprattutto quando egli ci invita a incontrarlo nelle condizioni della povertà e della precarietà, come fu a Betlemme.
Ma la tradizione ci dice anche che i pastori nel ricevere Gesù in dono non mancarono di offrire a lui i propri doni, condividendo le poche cose che un pastore poteva avere con sé pernottando all’aperto.
Sia la condivisione il modo di essere di ciascuno di noi, consapevoli che ogni cosa che offriamo ai fratelli è un dono fatto al Signore. È questo l’auspicio e l’augurio che faccio a me e a voi per questo Santo Natale.
Giuseppe card. Betori
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