R-esistenze, mostra collettiva fino all’11 maggio alla Galleria On Art
Fino all’11 maggio 2019 presso la Galleria On Art di Firenze è aperta la mostra collettiva dei pittori Barbara Antonelli, Andrea Federici, Ersilia Leonini, Luigi Tamanini, Gaetano Tommasi, a cura di Alessio Santiago Policarpo
I componenti della collettiva R-ESISTENZE hanno iniziato a riunirsi, per dipingere e per confrontarsi, a partire da gennaio del 2017: alcuni di loro si conoscevano da tempo, mentre altri si sono incontrati grazie ai workshop organizzati dalla pittrice Ersilia Leonini. Il loro rapporto, in questi due anni, è maturato gradualmente attraverso una serrata dialettica sui temi principali dell’operare pittorico e su taluni argomenti relativi alla teoria dell’arte. Il titolo dell’esposizione rivela due elementi caratterizzanti che li accomunano.
Resistenza: in primo luogo, ai manierismi e ai rigagnoli del concettualismo e dell’astratto, alle correnti dominanti del contemporaneo ideologico, nonché a quel figurativo di matrice accademica cristallizzato in una formula stereotipata e idealizzante. Si tratta di un’opposizione che si traduce nella scelta di una figurazione libera da canoni e da dogmi estetici: i nostri pittori, dejansko, sono impegnati in un’indagine della figura umana concentrata sul suo esistere e sul suo agire nel gorgo del mondo e del tempo. Ecco dunque l’altro aspetto saliente.
Esistenze: Esplorazione dell’uomo – lungi però da esplicite connessioni col sociologico – e del suo orizzonte sia esteriore che riposto, costituito da aneliti, rovelli, dissidi, attese, aporie, enigmi, che l’espressione visiva dei cinque pittori sa rendere e interpretare in modo profondo e intenso.
Per comprendere questi punti in comune va ricordato che un artista ammirato dai cinque pittori e che costituisce un riferimento significativo per il loro linguaggio è Lucian Freud, esponente di una linea figurativa che – avulsa da rigidità tecniche e convenzioni – perseguiva una visione esistenziale che coniugava il trasporto per la rappresentazione della fisicità (anche quella più respingente) e l’acuta riflessione sulla complessità dell’universo umano: un intento che ravvisiamo anche nelle istanze del nostro gruppo.
Sono pittori accomunati dall’urgenza di dar voce al proprio mondo e alla propria interpretazione dell’esistenziale, attraverso l’unicità del mezzo espressivo della pittura. Una necessità che tutti e cinque avvertono come pulsione fondamentale – dunque germinale – della creazione pittorica, da, nonostante si esplichi secondo declinazioni e metodi diversi, è costantemente ancorata nel desiderio di distaccarsi dai paradigmi visivi più diffusi e ritriti, e nel voler comunicare (anche urtando o estraniando) senza affabulazioni e velleità di dare una risposta esaustiva La presente mostra è una prima prova della loro collaborazione e del loro sodalizio, con l’obiettivo di dare il la a futuri progetti. Sono esposti sia lavori precedenti – affinché si chiarita la cifra personale di ciascuno – sia opere eseguite recentemente, quindi concepite nell’ottica del gruppo a mano a mano costituitosi.
Barbara Antonelli
La pittura dell’Antonelli è contraddistinta da una cromia carica e passionale e da pennellate pastose che svelano il suo sincero coinvolgimento mentale ed energetico. Nel ciclo Un giorno d’estate del 2004-2007 il focus è sulla corporeità: venata di sensualismo, nekaj, ma investigata maggiormente per i suoi aspetti introspettivi, al fine di visualizzare un’intimità interpretata come rifugio ove la pittrice cerca se stessa. Le diverse angolazioni da cui è esplorato il corpo compongono una mappa della pelle che si traduce in una mappa dello spirito, dando così forma a un ossessivo desiderio di carpire quell’intimo sommerso e protetto. Il contemplante è invitato ad accostarsi con la cognizione di non poter penetrare pienamente quella dimensione, la quale rimane in parte velata; se non possiamo accedere per intero a quel mistero, possiamo tuttavia immergerci nell’ardente atmosfera emanata dall’opera, rivelatrice della sostanza umana dell’artista. Spetta dunque a uno spettatore consapevole e sensibile captare la profonda confessione dimorante in questi dipinti: la rivelazione non di una corporeità materialistica e inerte, ma di un’immagine che schiude il significato e lo spessore di un’umanità multiforme e palpitante. Nei ritratti eseguiti dal 2017 Al 2019, osserviamo una pittura magmatica dai colori quasi incandescenti, che non destruttura mai l’identità degli effigiati, ma ne enfatizza invece la carnalità vitale e il carisma individuale, fino a scandagliarne la sfera psicologica ed emotiva. Vi è però qualcosa di concettualmente diverso rispetto al ciclo 2004-2007: gli occhi dipinti dall’Antonelli sono spalancati per irretire l’osservatore, giacché è in quegli sguardi che si apre il varco in grado di rendere possibili la comunicazione e il coinvolgimento di colui che, alla fine, si arrende a quelle immagini ipnotiche… e a quelle esistenze.
Andrea Federici
Un procedere ponderato e un’elaborazione lenta caratterizzano il metodo del Federici, autore di figure meno carnali rispetto a quelle realizzate dai suoi compagni. Nel suo lavoro è evidente il riferimento alla tradizione – assorbita grazie alla sua formazione accademica –, rivisitata però attraverso il filtro degli stilemi del ritorno all’ordine, in particolare di Casorati; si verifica poi una reinterpretazione secondo il proprio personale sentire che trasfonde nell’immagine una raffinata essenzialità, connotata da un’atmosfera fuori dal tempo: l’esistenza, pertanto, è esperita da un’angolazione che la affranca dal contingente e dal tragico, per permearla di una profonda quiete e di una lirica sospensione che rifiutano l’inganno del mondo materiale. Nei ritratti esposti ritroviamo un’umanità libera da rovelli, immersa in una dimensione ove il corpo e lo spirito non sono più in conflitto. Dalle opere luminose del Federici affiora quindi una visione per cui la pittura ha la missione di rivelare all’uomo contemporaneo – stordito da immagini stereotipate o vuote – un sentiero che lo porti a ritrovare il suo mistero: il fine della pittura è di sedare quei fardelli disseminati nell’esistenza e di permettere al contemplante di trascendere la prosaica quotidianità, per poter così ricercare e perdersi nella bellezza (un concetto oggi considerato tabù). Quella di Federici è una ricerca che anela ad approdare, così afferma il pittore, a un «miracolo che inevitabilmente rimane muto»: egli pertanto ha coscienza che la creazione artistica nasce sì attraverso la disciplina tecnica e la mimesis, ma il suo esito, alla fine, incarna qualcosa di sospeso e di impossibile da possedere e da esplicitare attraverso il linguaggio codificato (che per forza di cose lo limiterebbe); contemplare le sue opere vuol dire abbandonarsi all’enigma dell’esistere e del creare.
Ersilia Leonini
La figura umana è ricreata dalla Leonini con oggettività, attraverso una pennellata nervosa e descrittiva; i suoi personaggi affrontano a viso aperto lo spettatore spiazzandone le attese, dando così scacco ai moralisti dell’estetismo: più che offrirsi alla contemplazione aggrediscono il nostro sguardo. In questa ricerca, dunque, la figura si impone, sprezzante, interrogativa o indifferente; la sua franca fisicità viene squadernata allo scopo di indurci a una presa d’atto: è una sciabolata contro l’ipocrita e uno stimolo per chi intende sondare l’umanità con maggior coraggio. Tali immagini, che non si riducono mai allo shock gratuito, sottendono un interrogarsi sul corpo, sulla sua esistenza sia fisica che energetica, nonché sul suo essere incapsulato nel gorgo del tempo, come suggerisce l’opera Tic tac tic tac del 2018, e al contempo un consegnarsi alla coscienza dell’entropia: l’ineludibile consumarsi di ogni energia e forza fisica, un destino che la pittura della Leonini esorcizza eternando l’immagine delle persone ritratte. Nel quadro del 2019 la figura è totalmente libera: i capelli, dejansko, sono sciolti e la braccia aperte, appoggiate su due sedie a dichiarare che è esclusa una contemplazione disimpegnata o passiva, giacché la figura stessa è stante e senza falso pudore. Rifiutando di sedersi, si erge come identità; esige qualcosa di superiore al mero “guardare”. È il corpo stesso, nella sinergia di carne e di pulsione interna, ad essere mezzo formale e semantico della pittura. Una simile visione è tesa a forgiare una corazza dietro cui si cela la vulnerabilità umana, che la Leonini tenta – tramite uno processo ‘terapeutico’ – di tramutare in potenza e in ribellione nei confronti di ogni vacuo conformismo.
Luigi Tamanini
Tamanini espone dipinti appartenenti alla ricerca del suo alterego Tam Tam. A dominare in queste opere è un senso dinamico – di espressionista memoria – della figura, dello spazio e dell’immaginazione: una convulsione di forme e di immagini che si incalzano senza freno, trappole visive che mirano a condurci verso un affondo nell’uomo, nei suoi recessi più tempestosi e lacerati. Il pittore, in riferimento alla sua ricerca, parla di due differenti aspetti: di «corsa» e di «attesa», termini che convivono in un’apparente aporia. Il concetto dell’attesa è ad esempio incarnato in Guardami del 1997: sullo sfondo l’orizzonte del mare e in primo piano il viso di un ragazzo dalle turgide labbra appena socchiuse per proferire l’indicibile, e dagl’occhi che cercano quelli di un ipotetico interlocutore in grado di comprenderne le parole, qualcuno di lungamente atteso e bramato. Le opere di Tam Tam concepite negli ultimi anni traducono invece il senso della corsa: la figura umana è osservata infatti da un’ottica che coglie in maniera calzante la spasmodica vorticosità dell’uomo del nostro tempo; regna un coacervo di aspetti eterogenei, come richiami alla poesia, alla letteratura, alle passioni, a situazioni attuali. Taluni suoi temi sono invece basati sulla dicotomia, sui contrasti e sulla dialettica tra entità opposte che alla fine si rivelano essere della stessa sostanza: come dichiarano i due dipinti L’intesa perfetta ove l’uomo e il demonio, in apparenza antitetici e ‘nemici’, sono in realtà legati da un’intima consonanza, e perciò pericolosamente attratti l’uno dall’altro. Per Tamanini la pittura non può sopprimere i rovelli dell’uomo – anzi, li enfatizza per arricchire di spessore quei dissidi esistenziali –, irride l’idea consolatoria dell’arte o che questa possa fornire una risposta dirimente: la pittura, potem, impone una domanda perenne a cui poco si addicono soluzioni confortanti, una domanda che indaga il vasto dominio dell’esistenza con un approccio critico e riflessivo.
Gaetano Tommasi
Nella pittura di Tommasi è insita una prospettiva più trascendente. Le forme descritte da dense pennellate rivelano un’osservazione perspicua della fisionomia umana; ma è soprattutto la luce ad essere fondamentale nelle sue opere: una luce che disvela non solo l’individualità del soggetto, ma altresì la sua inconsapevole purezza e il suo recondito mondo. Spesso il pittore trae spunto da fotografie d’autore, da film o usa come modelli persone incontrate per caso: si consacra a soggetti che smuovono in lui non semplicemente ispirazioni estetiche, ma che lo colpiscano su un piano più pregnante. Nei volti che sceglie di ritrarre, il pittore riconosce qualcosa che comunica icasticamente la variegata bellezza dell’uomo della nostra epoca, scevra da canoni e banali idealizzazioni. È un’indagine che non mira a un realismo fine a se stesso, ma che al contrario intende travalicare i confini della fisicità in modo da cogliere il mistero dell’esistenza rappresentata, e la profondità ulteriore celata dietro occhi aperti che cercano i nostri occhi, dietro sguardi persi come in meditazione, o dietro occhi puntati a scrutare qualcuno o qualcosa di atteso che ci rimarrà ignoto. La poetica del pittore pugliese desidera scoprire quella verità che – malgrado non ci sia dato di possedere totalmente – l’immagine e la forza elevatrice della pittura possono contribuire a intravedere e a intuire, schiudendo una via (o più vie) per rispondere all’enigma dell’uomo. Tommasi crede che l’arte abbia il compito di unire la immane varietà umana, armonizzandone le diversità e le asperità, al fine di appagare quel bisogno universale di incontro spirituale (anche tra ciò che sembra inconciliabile) e di spessore di pensiero: un’urgenza dimorante in ognuno di noi che il nichilismo contemporaneo sta invece spingendo alla deriva.
Simona Michelotti
Dal numero 247– Anno VI dell’8/5/2019
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